Don Santoro una morte per amore

Scritto ieri

Parlare di don Andrea Santoro dopo questa morte non è facile. Il suo martirio infatti getta certo nuova luce sulla sua vita, ma ne rivela anche il mistero. Don Andrea non è un caduto nello scontro di civiltà, né è l'eroe di una lotta, quasi fosse l'avanguardia dell'aborrito Occidente. Morto da cristiano. Perché là? Perché scegliere una vita povera e priva di mondani successi, in una terra che doveva apparire già a lui ingrata?Aveva detto qualche giorno fa a Roma: «Io mi sento prete per tutti, perché questi sono i figli che Dio ama: musulmani, ebrei, cristiani».
Era un prete di Roma. Anche i preti romani (talvolta rappresentati come diplomatici o indolenti) sanno morire per amore. E il suo era un ministero d'amore tra Eucaristia e simpatia per tutti gli umani figli di Dio. «Noi siamo quelli della croce - aveva detto - non quelli della spada. A noi il Signore ha detto: metti la spada nel fodero. E tutto questo passa attraverso la croce. Se vuoi tenere la spada in mano, non farai mai l'unità. La croce è farsi agnello». Voleva fare unità e far comunicare quelli che erano tanto divisi. (..)
L'amore lo chiamava in un deserto di vita cristiana. Terra inutile da coltivare perché sterile di frutti cristiani? Lui amava quella terra: vi vedeva l'aurora antica del cristianesimo, spaziava con il pensiero in Medio Oriente, simpatizzava per gente estranea alla sua fede. Con tenerezza per loro, con una pietà romana, con tanta preghiera e pazienza, aspettava l'aurora di un nuovo giorno.
Domenica è venuta la morte. Una morte inflitta da un giovane che ha gridato «Allah u akbar» come grido di guerra. No, in quell'ora di morte, Dio più che grande era umiliato dal sangue sparso da uno dei suoi figli, mentre l'aggressore
pronunciava il nome dell'Eterno. (..) Perché don Andrea era un fratello anche per i musulmani. (...) Povero don Andrea: se n'è andato con i suoi sogni apostolici, con la sua bontà, tutta romana, con il suo sito sul Medio Oriente, la sua passione per il cristianesimo orientale, per quel grande passato e per le briciole del presente. La sua vita di prete esprime una nota forte che sorprende e interroga, specie quando incliniamo verso la mediocrità nell'amore. Il suo sangue chiede: fin quando i fratelli uccideranno i fratelli? Il colore martiriale della sua morte allontana la vendetta e rifugge ogni interpretazione politica: esige e implora che l'odio sia seppellito con lui nella tomba.
Illusione? Noi la chiamiamo fede. C'è un valore misterioso di una vita caduta a terra, anche se non è dato di conoscere i tempi del germoglio. Per chi crede è il caso di riflettere in profondità su questa vita e di ricordare il detto dei primi secoli cristiani: «Io vi do una grande eredità che il mondo non ha».
Avvenire, 8 febbraio 2006


[ Andrea Riccardi ]