Andrea Riccardi: "Da soli è impossibile trovare la felicità"

Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio a Palermo
Credo che la vicenda di Puglisi sia esemplare per la Chiesa italiana e non solo per la Sicilia E poi è la storia del martirio...

Mai stancarsi di costruire ponti, di dialogare "per ricucire una società lacerata dalla paura dell'altro". Dopo cinquant'anni di esistenza e di attività incessante, la Comunità di Sant'Egidio rappresenta una testimonianza di impegno quotidiano nelle periferie umane e urbane del mondo, su percorsi di riconciliazione e di pace nelle zone più disagiate d'Italia, in Paesi lacerati da conflitti. Lo racconta il suo fondatore Andrea Riccardi, storico ed ex ministro del governo Monti, in un libro-conversazione con il teologo siciliano don Massimo Naro, a cui lo lega un lungo rapporto di amicizia. Pubblicato dalle edizioni San Paolo, «Tutto può cambiare» sarà presentato oggi alle 17, a Palermo, nella chiesa di Santa Maria della Catena: interverranno gli autori e monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo. Riccardi, insignito di numerose onorificenze accademiche per il suo impegno a favore della pace e del dialogo, mediatore in diversi conflitti ha contribuito al raggiungimento della pace in alcuni Paesi, tra cui Mozambico, Guatemala, Costa d'Avorio e Guinea.
La Comunità di Sant'Egidio ha un approccio laico alla realtà, ma con le radici bene ancorate nel Vangelo. La preghiera comunitaria ogni sera ne è un segno. Cosa può dire il cristiano al mondo di oggi?
«Il cristiano non ha una lezione da dare, non ha da insegnare agli altri come vivere e come risolvere i problemi. Penso, però, che in questo mondo un po' disperato, i cristiani possono comunicare una speranza di felicità, nella consapevolezza che la felicità è qualcosa che non si vive da soli e non si mangia da soli, ma si spezza sempre con gli altri. Le nostre società sono coinvolte in una spirale di rottura del legame col prossimo. Ma senza il prossimo non c'è felicità né mia né del prossimo».
Una volta al mese voi pregate per la pace ripetendo i nomi dei Paesi in guerra. Perché questo segno?
«Perché la pace è in discussione oggi in un tempo in cui si stanno riabilitando la guerra e la violenza. Io insisto molto su quello che è successo in Siria: 7-8 anni di guerra, bombardamenti, gas nervini, qualcosa di assurdo di fronte a cui la coscienza internazionale non si è ribellata, la comunità internazionale ha fatto una pessima figura, è stata irresponsabile. Allora credo che la preghiera è davanti a Dio la nostra invocazione e il nostro grido di protesta contro la guerra. Sant'Egidio non prega solo per la pace, ma in tante zone tenta di operare per la pace, oggi per esempio nella Repubblica Centrafricana».
Papa Francesco parla di una guerra mondiale a pezzi. Quale futuro vede per la Siria, l'origine di gran parte del movimento migratorio verso l'Europa?
«Molti Paesi hanno vissuto l'illusione che la guerra fosse solo un affare dei siriani, ma la guerra è divenuta una crisi per tutto il Medioriente e con i flussi migratori è divenuto un grave problema anche in Occidente, tanto che l'Europa dell'est ha cominciato a costruire muri. Quello che avviene in Siria è ormai un nodo inestricabile, tante volte ci fa voltare dall'altra parte perché non abbiamo soluzioni. Con realismo, ma con fretta, bisogna che la guerra finisca, perché è stata la madre di tutte le povertà in Siria, ha generato dei mostri, come il terrorismo del Daesh».
L'impegno di Sant'Egidio si è manifestato concretamente nell'accoglienza dei migranti, anche a Palermo e in Sicilia. Ma l'Italia e l'Europa cosa fanno?
«I corridoi umanitari dal Libano che Sant'Egidio ha realizzato con i protestanti italiani sono un contributo per aiutare i profughi siriani. Ma l'idea di corridoio umanitario, che poi Sant'Egidio ha ripreso con la Cei dal Corno d'Africa, è quella di creare accessi sicuri e legali al nostro Paese, unica alternativa ai mercanti della vita nel mare. Dobbiamo pensare a questi accessi, anche se mi sembra che la cultura vincente in questo momento nel nostro Paese non vada proprio in questo senso. Ma noi continuiamo».
La Sicilia è uno dei suoi luoghi del cuore, amicizie, impegni, risultati raggiunti. Nel libro si accenna a un legame particolare con padre Pino Puglisi. Chi rappresenta per voi questo martire?
«Non ho mai conosciuto Puglisi, ho lavorato sulla sua causa di beatificazione nell'ultima parte. Puglisi ha conosciuto alcuni giovani di Sant'Egidio, tanti anni fa, e per me resta una grande figura che mostra come il Vangelo può scardinare la cultura della morte dei clan mafiosi. Credo che la storia di Puglisi sia esemplare per la Chiesa italiana e non solo per la Sicilia. E poi è la storia del martirio e della grande intuizione di Giovanni Paolo II, perché il nostro è di nuovo un tempo di martiri».


[ Alessandra Turrisi ]